Spesso ci si interroga su quanto debba o non debba costare un vino. Tendiamo a pensare che costi troppo, e mai troppo poco.
Abbiamo gli scaffali dei supermercati come punto di riferimento e metro di giudizio. Non ci rendiamo però conto che quegli scaffali rappresentano solo tante fette della stessa torta. La torta dell’industria e dei milioni di bottiglie, la torta della grande distribuzione e del dozzinale.
È vero, molte etichette riportano la certificazione bio: e se è bio è bio, direte! Tuttavia, generalmente, il vino bio industriale differisce dal vino bio di un’azienda con dimensioni modeste così come la mozzarella bio industriale differisce da quella bio più artigianale.
In entrambi i casi, uno dei due manca di personalità, anima, profondità e persistenza gustativa. E in entrambi i casi è giusto, sano e bello che siano accessibili a tutti. Il vino può essere un bene elitario, ma non nasce come tale.
È il frutto della terra e del lavoro degli uomini, è un alimento (e dovrebbe essere considerato come tale), è compagno di molti esseri umani da sempre, così come delle varie fasi della nostra vita.
Spesso caratterizza i diversi momenti della giornata e delle stagioni.
La quantità delle bottiglie prodotte
Ogni vendemmia ha dei costi fissi che devono essere “spalmati” sul numero delle bottiglie prodotte. Ne consegue che le aziende piccole incontrano più difficoltà a riguardo perché di default ogni bottiglia costa un tot.
D’altro canto però, il vignaiolo fa quello di lavoro e la cura delle sue vigne rappresenta il suo stipendio.
La sua vita e quella della sua famiglia (se ce l’ha) si basa sull’espressione degli ettari che è chiamato a interpretare facendo emergere sia l’identità del territorio, sia la sua personalità.
Questi due importanti fattori – da un lato il rispetto del territorio e dall’altro il rispetto per sé stesso e di quello in cui crede e applica – lo aiutano a spiccare, e piano piano a posizionarsi sul mercato.
Le aziende medio-piccole stanno su un’altra torta e giocano su altri scaffali. Quelli della cura e della Ricerca.
Il tempo di affinamento in cantina
Elemento determinante nello stabilire il prezzo di un vino. Ci dobbiamo chiedere se il vino che abbiamo di fronte è un vino di pronta beva e quindi troviamo riportata sull’etichetta l’annata 2020 o magari, sebbene sia un vino giovane, abbia passato qualche mese in più in cantina e quindi troviamo sull’etichetta l’annata 2019, 2018.
In tal caso, oltre al tempo trascorso in cantina, dobbiamo tenere in considerazione il prezzo del contenitore dove il vino ha affinato.

Acciaio, cemento, vetroresina, anfora, barrique, botte grande. Provo a mettere insieme i diversi fattori.
Micro focus sul Franciacorta DOCG
Un produttore di Franciacorta DOCG ogni anno deve acquistare un numero congruo di bottiglie perché è in quelle bottiglie che il suo vino rifermenta.
Il vino-base della sua vendemmia 2020, che è stato per circa 6 mesi in un contenitore, è entrato nella bottiglia “champagnotta” o “champagnotta prestige cuvée” a marzo/aprile 2021.
E tale vino per essere etichettato DOCG nella bottiglia “x” (affinamento sur lies o sui lieviti) ci deve stare almeno 18 mesi altrimenti non possiede il presupposto idoneo al rilascio della fascetta.
Inoltre, dopo la sboccatura il produttore attende (o dovrebbe attendere) almeno un paio di mesi per dare al vino la possibilità di integrarsi al cambio del tappo poiché tale operazione comporta uno stress.
I Franciacorta DOCG non millesimati della vendemmia 2020 potranno essere commercializzati più o meno da settembre 2022.
Per quelli millesimati invece l’affinamento sui lieviti, e quindi il tempo di permanenza nella bottiglia “x” dove avviene la rifermentazione, è di ben 24 mesi.
Pertanto risulta davvero un peccato aprire una bottiglia di metodo classico di qualità, qualsiasi esso sia, subito dopo la sboccatura.
E perché mi direte?
Perché c’è voluto tempo per la sua produzione! E dato che c’è voluto tempo sarebbe carino bere un prodotto che sia in grado di esprimere al meglio il suo potenziale. E non invece un prodotto tirato, compresso e magari un po’ scomposto…
Tanti, opposti e di estremo valore i fattori in gioco.
In primis, esiste la doverosa necessità del produttore di vendere e rientrare dell’investimento fatto perlomeno due anni prima. È indispensabile che tale individuo inizi a raccogliere i frutti del suo lavoro, a maggior ragione se è il suo unico lavoro.
Esiste, però, come altra faccia della medaglia anche il diritto del consumatore di beneficiare di un prodotto “congruo” e apprezzare il vino acquistato per come dovrebbe essere. Che poi questo “come dovrebbe essere” non è altro che come il produttore ha pensato il suo vino a monte, espressione del suo territorio e della sua personalità ossia i fattori che l’hanno portato ad emergere.
Il cerchio quasi si chiude e la fretta ci frega!
Segue…