Origini della vite
La specie che tutti noi conosciamo si chiama Vitis Vinifera e ha origini antiche. Nasce nel Caucaso e arriva in Mesopotamia, nella celebre Mezzaluna fertile, intorno al 6000 a.C.
Lentamente attraverso i Greci, i Fenici, gli Etruschi e i Romani arriva sulle tavole trasformata in vino.
Dalla notte dei tempi, il vino iniziò così a colorare i momenti di festa, celebrazione, ringraziamento e condivisione dell’essere umano; e se nelle epoche di prosperità economica diventava accessibile a tutti, nei periodi più difficili si ascriveva a lusso per pochi. Tuttavia, senza passare per le singole tappe – non essendo questa la sede e io la voce, poiché piuttosto pane di storici e studiosi di varia natura – arriverei ad oggi.
Solo in Italia, in effetti, sul Registro delle Varietà ne sono presenti più di 900, sebbene non tutte siano utilizzabili per la produzione di vini a denominazione d’origine. http://catalogoviti.politicheagricole.it/catalogo.php
Una soddisfazione immensa, la nostra piccola Penisola culla di diversificazione e differenziazione. Cerchiamo dunque di stare lontani dalle omologazioni e dal grossolano!
Elementi condivisi: terra, acqua e aria
I presupposti per fare un vino genuino e di qualità sono molteplici, sebbene, in un certo senso, spesso si ripetano prendendo fisionomie diverse.
A monte c’è, però, sempre la premessa di intendere la vigna come un microcosmo.
Fondamentale è il territorio di provenienza e la composizione del suolo.

La vite ama terreni poco fertili, sciolti, anche rocciosi, in modo tale che le sue radici scendano in profondità e vadano a pescare tutti i minerali e le sostanze nutritive di cui ha bisogno, per poi resistere anche alle avversità atmosferiche.
Molto spesso l’irrigazione artificiale dei vigneti è vietata, e pertanto, in caso di siccità, le viti devono necessariamente “succhiare” dal terreno tutto il necessario per il loro sviluppo.
Ogni varietà predilige dei territori e dei minerali piuttosto che altri; è infatti per questo motivo che prima di impiantare un nuovo vigneto si fanno delle analisi.
Ci sono varietà autoctone (verdicchio, carricante, friulano, sangiovese, nebbiolo, montepulciano…) e varietà internazionali (chardonnay, pinot bianco, pinot grigio, merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc….).
Quelle autoctone si esprimono al meglio nei territori di origine, mentre quelle internazionali, avendo maggiori capacità di adattamento, danno buoni risultati un po’ ovunque, se la zona è vocata.
Importanti, di regola, sono le altitudini.

La vite predilige le colline più o meno scoscese (300-600 metri sul livello del mare), con pendenze variabili, e le montagne (dai 600 metri sul livello del mare in su). Questo perché? Perché essenziale è l’ illuminazione del vigneto.
In diverse regioni italiane i vigneti arrivano fino a oltre i 1000 metri sul livello del mare.
Territori impervi, viticultura eroica e viste mozzafiato.
Anche acqua, vento e temperature giocano un ruolo determinante.
Le temperature vengono intese anche come escursioni termiche tra il giorno e la notte, le quali fanno in modo che gli aromi si fissino sulle bucce arricchendo di aromaticità e sfumature il futuro vino.
Mari, laghi e fiumi fungono, invece, da mitigatore, soprattutto in inverno, delle rigide temperature notturne e riflettono, di nuovo, la luce.
Il vento asciuga le uve e limita il generarsi di malattie e attacchi fungini, ai quali i produttori rispondono in modo moooooolto diverso!
Chiediamoci, per esempio, cosa è stato utilizzato in vigna per difendere le viti dai loro malanni… chimici di sintesi? Rame e zolfo? O anche preparati biodinamici?
Chiediamoci se il vino-alimento che stiamo comprando è industriale o artigianale (e per artigianale non intendo i vinacci popolari del contadino X che fa il vino per sé!).

Questo principio/riflessione non appartiene solo al vino, ma rappresenta piuttosto, a mio avviso, la matrice della qualità!
Insisto. Se facciamo attenzione alla frutta, alle verdure, alle uova, alla mozzarella, alla carne, al pesce, mi chiedo… perché al vino no?
Ripeto, siamo una micro meravigliosa Penisola, patria dell’esplosione del Gusto! Tutto il mondo, francesi compresi, fa le capriole e ingrassa 5 kg a vacanza per godersi il “BendiDDDDio” che ci appartiene. Dovrebbe regnare l’eccellenza e non i numeri.
Inoltre siamo esseri pensanti, pertanto interroghiamoci, innanzitutto perché è del nostro corpo che stiamo parlando. Da anni, al riguardo, si legge che “siamo quello che mangiamo” e aggiungerei beviamo.
Il vino sempre a tavola sta. A pranzo, a cena, all’aperitivo e pure dopo cena!
L’uomo: chimico o interprete?
L’uva non diventa vino da sola perché non è in grado di autoprodursi!
Non si auto-innesta, non si auto-pota, non si auto-difende e non si auto-raccoglie!
Il bravo produttore è chiamato dal giorno zero a prendere decisioni importanti ponendosi delle domande chiave come “Che vino voglio produrre?” “Che assetto voglio tenere?” “Quanto voglio rispettare il mio territorio e il mio prodotto finale?”
La regola zero è che “il vino si fa in vigna e non in cantina” e che “uve sane danno vita a vini di qualità”.
Ne consegue che solo prendendoci cura dei vigneti prima, si possono raccogliere delle belle uve poi. A tal proposito, il criterio di raccolta è che “si colgono solo i grappoli che dareste ai vostri figli”.
E se le uve scelte sono belle, sane, non abbiamo bisogno di correggere, di nuovo, i mosti prima e i vini poi, perché i nostri acini possiedono, già intrinsecamente, tutto quello di cui hanno bisogno – zuccheri, acidi, profumi, polifenoli, minerali, vitamine…
E indovina un po’?! Il giusto apporto di tali elementi si raggiunge tenendo in fortissima considerazione la resa per ettaro (generalmente con 90 quintali già si fa un vino di qualità) e il tempo della vendemmia ovvero si raccoglie quando le componenti di cui sopra hanno un buon equilibrio tra loro – la maturazione tecnologica, fenolica e aromatica.