Un fenomeno che nasce negli USA e che ha spopolato anche in Italia: il noleggio di abiti. Una soluzione all’acquisto reiterato e frequente di capi di abbigliamento lasciati poi negli armadi. Ma è davvero così sostenibile come si pensa?
Di che cosa si tratta
Per “Fashion renting” si intende letteralmente il noleggio di capi appartenenti al mondo della moda: vestiti, borse, accessori, di solito ad un costo elevato poiché griffati da brand di lusso. Questo fenomeno nasce negli Stati Uniti con la volontà di aprire le porte dell’accessibilità dei brand di alta moda a tutti e come soluzione per evitare sprechi ed inquinamenti dovuti all’acquisto continuo di capi di abbigliamenti che puntualmente giacciono per anni negli armadi.
Secondo il rapporto Italia 2020 di Eurispes, la tipologia di noleggio di vestiti più comune e più utilizzata è quella online: nel report dell’Allied Market Research si stima che nel 2023 questo mercato raggiungerà un valore di 1,9 miliardi di dollari.
Fondamentalmente le compagnie di noleggio fashion forniscono un servizio simile a quello del contratto di locazione: hanno la responsabilità di conservazione e manutenzione del prodotto, si occupano della sanificazione e del controllo integrità al suo rientro e mantengono il possesso del “bene” che viene messo a disposizione.
Le fasi sono:
- scelta del capo sulla piattaforma online;
- selezione della taglia;
- scelta della durata del noleggio (di solito dura dai 4 agli 8 giorni);
- pagamento;
- il prodotto arriva direttamente a casa;
- il giorno prestabilito, si riconsegna il capo al corriere.
Fashion Renting e sostenibilità: alcuni dati importanti (e sconvolgenti)
La questione “sostenibilità” è diventata progressivamente una delle priorità assolute dell’industria moda: piccoli e grandi marchi cercano nel proprio di limitare l’impatto ambientale della catena produttiva e riorganizzano i processi per evitare sprechi ed emissioni di Co2.
Nonostante tutto, questo purtroppo non basta. La quantità di rifiuti che quotidianamente si smaltiscono continua a moltiplicarsi giorno dopo giorno, quasi annullando gli impegni che pochi adottano nell’ottimizzazione delle proprie produzioni aziendali.

L’adozione di nuove tecnologie per tessuti biodegradabili, il second hand e in questo caso il noleggio di abiti sembrano essere dei buoni propositi per chi produce e per chi acquista.
Attenzione… sembra, infatti.
Inizialmente il fashion renting sembrava essere una soluzione davvero geniale per evitare sprechi e acquisti inutili di capi che sarebbero rimasti nell’armadio, ma negli ultimi mesi secondo uno studio di Environmental Research Letters, affittare vestiti è addirittura peggiore che buttarli via dal punto di vista ambientale.
Dopo aver studiato molteplici scenari tra cui rivendita, riciclaggio e noleggio, quest’ultimo, secondo il team di esperti, risulta essere l’opzione meno sostenibile rispetto a tutte le altre.
E perché mai?
Il vero problema risiede sia nel trasporto che nel lavaggio: nel primo poiché vengono mobilitati corrieri che effettuano corse da e verso i clienti per l’invio e la resa del prodotto, e nel secondo poiché sono numerosi i lavaggi a secco che necessariamente devono essere effettuati dopo ogni servizio.
Secondo i ricercatori, molte aziende di noleggio moda abuserebbero dell’«economia circolare» – il sistema in cui i vestiti vengono passati da una persona all’altra prima di essere riciclati – applicando a tutti gli effetti una forma di greenwashing.
Il concetto della condivisione degli abiti è il punto di partenza, che necessita però una rivisitazione ed una nuova classificazione per limitare gli sprechi.
Nel libro Fashionopolis: The Price of Fast Fashion and the Future of Clothes, l’autrice Dana Thomas afferma che «dovremmo pensare al noleggio come allo shopping di seconda mano. Non è qualcosa che facciamo sempre (…) ma quando si presenta la necessità, come in occasione dei matrimoni».
Secondo una ricerca della Ellen MacArthur Foundation, il consumatore medio acquista il 60% in più di capi ogni anno, registrando però una riduzione del 50% della durata del capo. Dall’altra parte, il numero medio di volte in cui vengono indossati gli indumenti è diminuito del 36%. Uno dei migliori comportamenti da mettere in atto sarebbe quindi quello di aumentare il numero di volte in cui indossiamo i capi prima di buttarli via.

Lo studio di Environmental Research Letters non porta solo cattive notizie però: gli stessi ricercatori hanno studiato ed analizzato alcuni suggerimenti per le modifiche alla logistica delle aziende così da rendere più sostenibili i processi della loro filiera. Dall’utilizzo delle modalità di trasporto a basse emissioni di carbonio, alla possibilità di indossare degli articoli in stock per dei periodi più lunghi.
Forse, l’unica reale soluzione potrebbe essere la regolamentazione di questo settore tanto pericoloso per il pianeta: la legge è l’unica via per imporre un comportamento ad hoc e per abbandonare il libero arbitrio, che a quanto pare fino ad ora nel mondo del fashion non ha dato molti frutti.