Home Editoriali Ma esistono “migranti economici”?

Ma esistono “migranti economici”?

403
0

In questi tempi di migrazioni e fallimenti delle istituzioni, delle foto scattate ai morti annegati, va molto di moda aprire gli articoli con frasi sulla storia; “la storia insegna ma non ha scolari” o, più raramente, “il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia è la lezione più importante che la storia ci insegna”. Insomma, da Gramsci ad Huxley, stando alle cronache, la storia non insegna. Anche perché, se imparassimo da lei ci sarebbe stato solamente un naufragio nel Mediterraneo e non li conteremmo a migliaia.

C’è però da considerare ciò che c’è dietro alla storia, c’è da capire perché, nonostante le prospettive di una morte in acqua, queste persone partono verso le nostre coste; ed è qui che inizia la generalizzazione. Siamo talmente abituati alla burocrazia, allo schematismo, che abbiamo lasciato a questi disperati solamente due opzioni: a) migranti economici, b) migranti che hanno diritto allo status di rifugiato politico. Ed è proprio sul filo di questa distinzione che, quasi sempre, si definisce il destino di uomini, donne e bambini; sommersi e salvati. Ad oggi, sia tra i politici di maggioranza che di opposizione, sia tra chi è favorevole all’accoglienza e tra chi è favorevole alla polemica, c’è la convinzione che l’Europa non può farsi carico dei migranti “economici”, dei “poveri” di tutto il mondo insomma. Da questa considerazione fondamentale scaturiscono affermazioni come “aiutiamoli a casa loro”, che concretamente si trasformano nel peggior assistenzialismo o in una goccia nel mare magnum della diseguaglianza.

Sicuramente un’economia al momento debole come la nostra non è in grado di assorbire potenziale forza lavoro, anche volendo e questo è ovvio. Meno ovvio è utilizzare la definizione di migrante economico come un calmiere dell’accoglienza. Il paradosso europeo consiste proprio in questo: alla stessa persona può essere riconosciuto diritto d’asilo in Svezia mentre può essere respinto dalla Grecia perché migrante economico, appunto. Per fare un esempio, nel 2007, su circa 18000 iracheni che hanno richiesto asilo in Svezia è stato accolto l’82% delle domande; nello stesso anno in Grecia, su circa 5500 richieste la percentuale riconosciuta è stata dello 0% (ECRE, 2008, Five Years on Europe is still ignoring its responsibilities towards Iraqi refugees). Per capire di cosa stiamo parlando circa il 77% dei richiedenti asilo in Europa è accolto solamente da 7 paesi. Cifre imbarazzanti. (Qui un approfondimento sull’origine dei migranti).

Bene, è il momento di obiettare che una volta risolto questo problema europeo attraverso il diritto d’asilo comune agli stati, attraverso la divisione obbligatoria delle “quote”, attraverso la negoziazione con i paesi del nord Africa, potremmo finalmente garantire accoglienza ai rifugiati (come sancisce la nostra Costituzione), pulirci la coscienza e rimpatriare i “fastidiosissimi” migranti economici che “vengono a rubarci il lavoro”. Nel primo semestre del 2015, il numero complessivo di rimpatriati dall’Italia è di 6527. Persone a cui non è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Persone che torneranno a vivere in condizioni economiche precarie, in paesi che subiscono il furto costante delle materie prime e lo sfruttamento della forza lavoro. Ma sicuramente l’Europa ha pensato qualcosa per migliorare le fragili economie di questi paesi, così da ridurre anche il flusso migratorio e da contribuire alla stabilizzazione politica – diminuirebbero i conflitti, i “migranti economici” e anche coloro che abbiamo considerato nel nostro ragionamento “rifugiati politici”. Insomma, la tanto agognata soluzione a medio e lungo termine consiste in questo: formare dei piani di sviluppo economico che consentano alle Repubbliche africane di essere indipendenti. Una buona pace contribuisce a buoni affari, o no?

Dovrebbe essere così, in realtà l’unico strumento attualmente utilizzato dall’Europa per interagire economicamente con il “terzo mondo” è l’E.P.A.: Economic Partnership Agreement ovvero ‘Accordi di Partenariato Economico’, che sanciscono il libero scambio tra i paesi europei ed i paesi africani. Sono stipulati ogni cinque anni e permettono l’abolizione delle tasse sui prodotti in entrata ed in uscita dalle due categorie di paesi stipulatori, appunto UE e paesi africani, mettendoli sostanzialmente sullo stesso piano di concorrenza. Nemmeno a dirlo la forza economica è totalmente a favore dei paesi europei. Sempre per fare un esempio, il PIL del Ghana è di 50 miliardi di dollari; il PIL della Lombardia del 2014 è di circa 350 miliardi di dollari. La scelta di equiparare i due piani ha prodotto due effetti principali: 1) la vendita di prodotti sui mercati esteri non conviene ai paesi africani che dunque producono tanto quanto basta al proprio fabbisogno e, di fatto, rinunciano alla crescita; 2) il costo del lavoro sarà sempre più basso nei paesi africani e questo incentiverà la delocalizzazione delle imprese europee.

Davanti agli occhi dell’Europa c’è dunque un doppio impegno; in politica interna al Continente, regolare l’ingresso dei migranti e definire la gestione dei rifugiati; contemporaneamente, rivedere i trattati economici internazionali contribuendo allo sviluppo economico delle zone dai cui partono coloro a cui non viene riconosciuto diritto d’asilo. In conclusione, non solo la storia non insegna, ma l’economia non sente. Sappiamo stupirci quando la corrente della storia ci porta a riva coloro che la pagano con la vita; saremo così ipocriti da stupirci quando l’economia ci mostrerà la nostra avarizia?

Articolo precedenteDa dove partono i migranti
Articolo successivoLariano, inaugurata la 25esima edizione della Sagra del Fungo porcino
Gabriele Cimmino è nato nel 1996, ha una personalità spiccata che si sviluppa tra letteratura, innaturali tendenze a parlare di sé in terza persona ed un incessante citazionismo; ad esempio, scrive su WalkieTalkie per consumare "un po' d'ansiosa incosciente giovinezza".