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Buona visione

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In questi ultimi giorni in molti avranno pensato e sognato una RAI sul modello BBC. Cioè un servizio pubblico che si discosti di molto dai movimenti e dalle scelte governative e che punti soprattutto ad assicurare un pluralismo che nel Belpaese non è mai stato realmente preso in considerazione.

Basti pensare alle polemiche di questi giorni sulla elezione del nuovo CDA della RAI e dei rispettivi presidente e direttore generale. Come al solito non sono mancate le critiche all’esecutivo e alla maggioranza, rei di aver nominato tutto ciò con la stessa legge, cioè la Gasparri, che mesi fa era stata definita difforme dal ruolo e dall’importanza a livello culturale della RAI e che invece alla fine è stata riutilizzata per “mancanza di tempo nel formularne una nuova”.

La speranza che la RAI segua il modello BBC, dunque, appare impossibile in tempi brevi, vista soprattutto la differenza abissale tra le due “compagini”.

A cominciare dai fatturati. Prendendo in considerazione alcuni dati risalenti al 2013, infatti, si nota come la diversità di fatturati sia alquanto imbarazzante: sono 6,4 i miliardi di euro per l’azienda britannica, contro i 2,7 di quella italiana. Vero è che il canone in compenso è più basso per la RAI, poiché chiede (“solo”) 113€ rispetto ai circa 185€ della BBC, ma è vero anche che quest’ultima debba pagare ventitremila dipendenti e non dodicimila, aggiungendo anche la mancanza di pubblicità nei propri palinsesti nazionali.

Altra nota dolente del confronto è sicuramente il processo di elezione del CDA. Nella BBC è il governo (formalmente la Regina) a nominare il trust, composto da dieci membri rigorosamente scelti, dopo aver sostenuto un colloquio pubblico e essere stati selezionati da un’apposita commissione esaminatrice, tra le personalità di spicco nel campo culturale, economico e dei media, i quali a loro volta hanno il compito di eleggere il presidente e il direttore generale e di dettare le linee strategiche dell’emittente. In Italia, invece, è la Commissione di vigilanza, “telecomandata” dal Parlamento, a scegliere i nove componenti del CDA, che però non hanno facoltà di designare le due figure guida dell’azienda che sono nominate dal governo.

Per questo il confronto non regge. E non regge perché siamo in Italia, cioè nel paese che nel 1954 definì “pubblica” l’azienda salvo poi, attraverso il referendum popolare del 1995, chiedere ai propri cittadini di abrogare la legge che consentiva il possesso delle azioni Rai esclusivamente alla mano pubblica, autorizzando “di fatto” la privatizzazione, peraltro poi mai avviata. Nel corso di questi sei decenni “Mamma Rai” è stata macchina di propaganda e giocattolo del potere. Lottizzata dai partiti e dai governi che si sono succeduti negli anni, arrivando persino ad essere definita censuratrice di professionisti, sgraditi ad alcuni uomini politici.

Tra scandali, annunci e speranze di cambiamento, l’unica cosa certa è che domani mattina, come ogni santa mattina, io sarò lì, seduto davanti ad una tazza di latte a guardare il TG1. Buona visione!

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Luca Valvo è nato nel 1999. Ama esprimere le sue idee attraverso discorsi che non finiscono mai, puntando su concetti concreti e poco astratti. Ha scelto WT per condividere tutto ciò.