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Abolire il Reddito di Cittadinanza. Oppure no.

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Reddito di Cittadinanza. Chi vuole abolirlo e chi vuole riformarlo. Vediamo come può migliorare per essere uno strumento di politica attiva del lavoro
Abolire il Reddito di Cittadinanza. Oppure no

Reddito di Cittadinanza. Chi vuole abolirlo e chi vuole riformarlo. Vediamo come può migliorare per essere uno strumento di politica attiva del lavoro

L’efficacia nel sostegno al reddito

Sono trascorsi oltre due anni dalla sua introduzione. Sebbene presentasse fin da subito debolezze sul piano della reale capacità di collocamento dei disoccupati, il Reddito di Cittadinanza ha tolto dalla povertà assoluta persone che non erano coperte da altre forme di sostegno al reddito. Oltre ad una porzione di popolazione che travolta dalla pandemia dello scorso anno, non è stata più in grado di sostenersi economicamente.

Queste, senza un’adeguata protezione sociale – e occupando posizioni precarie o irregolari – difficilmente avrebbero potuto accedere al REI – Reddito di Inclusione – istituito dal Governo Gentiloni, ma che copriva una fetta troppo ridotta della popolazione in stato di indigenza, a causa di una scarsa dotazione finanziaria.

Dunque, l’efficacia del RdC è dimostrata e riconosciuta sotto la lente della protezione sociale, con assistenza a 3,6 milioni di persone – ricordiamo che due terzi dei percettori non è occupabile – non in grado di fare fronte a bisogni primari. Una platea di percettori che nei primi 8 mesi del 2020 è cresciuta del 25,8%.

Sarebbe opportuno discutere del perché un numero così elevato di cittadini italiani e stranieri regolarmente residenti, si trovasse e continua a trovarsi in bilico sulla soglia della povertà, pur avendo una qualche forma di occupazione. Tuttavia, ci limiteremo a considerare solo gli aspetti che possono e debbono essere ridiscussi di uno strumento di sostegno come il Reddito di Cittadinanza.

L’inefficacia delle politiche attive del lavoro

L’ostacolo maggiore da superare per il Reddito di Cittadinanza è la sua ridotta capacità di ricollocamento. Anzi, nella narrazione ricorrente, che con la stagione estiva è andata aumentando su giornali e programmi tv, il RdC dissuade il beneficiario dal cercare lavoro. Il pensiero è il seguente: perché accettare lavori faticosi per meno di mille euro, quando posso ricevere 552 euro per non lavorare – valore medio del sostegno – o peggio ancora, lavorando in nero?

In pratica, si punta il dito contro il RdC poiché aumenterebbe il «salario di riserva» ovvero il minimo che si è disposti ad accettare per un lavoro, generando una conseguente scarsità di manodopera. Questa critica, legittima, sembra però non sufficiente per invocare l’abrogazione per mezzo di referendum popolare.

Il Navigator

Parallelamente all’introduzione del sostegno al reddito, si è tentato di porre rimedio all’inefficacia dei centri per l’impiego, stanziando risorse per 1 miliardo di euro e potenziando il personale con uno stuolo di 3000 preparatissimi navigator con contratto biennale. Questi avrebbero avuto il compito di collocare percettori di RdC 1,3 milioni di persone – sul mercato del lavoro.

Impresa impossibile ancora di più nel 2020, considerando che solo il 3,4% di chi si è rivolto ai CPI nel 2019 è riuscito a trovare un lavoro. Le Agenzie per il Lavoro – società private – fanno poco meglio e collocano il 5,6% degli utenti che si rivolgono a loro.

Migliorare il RdC senza abolirlo

Partiamo dalla prima criticità: il RdC riduce la manodopera aumentando il salario di riserva. Va detto che nella legge che istituisce il Reddito di Cittadinanza è previsto un monte ore dedicato a Progetti di Utilità Collettiva PUC –  in accordo con enti locali e terzo settore, per attività da prestare a titolo gratuito in attesa di ricevere le offerte di lavoro.

Attuare questi percorsi di utilità sociale permetterebbe ai percettori di sentirsi parte attiva della comunità in cui vivono, sottraendoli ad una narrazione negativa di chi – spesso per ragioni partitiche – li etichetta troppo facilmente e senza distinzione come nullafacenti.

Ma soprattutto, impedirebbe a quella parte di beneficiari che sfruttano il sostegno di arrotondare con attività lavorative in tutto o in parte irregolari. Essere impiegati in attività di pubblica utilità limiterebbe la loro capacità di offrirsi come manodopera in nero, in proprio o subordinata.

Sinergia pubblico-privato

Cosa si può fare sul fronte delle politiche attive? Copiare il modello tedesco. Ovvero siglare una partnership sinergica pubblico-privato per accelerare il processo di reinserimento nel mondo del lavoro, di quel terzo di percettori di RdC – 1,3 milioni – che sono idonei al lavoro.

L’assegno di ricollocazione già previsto per percettori di RdC consente di rivolgersi a CPI o Agenzie per il lavoro per ricevere servizi di assistenza. Queste chiaramente sono più incentivate a farsi carico di profili maggiormente spendibili sul mercato del lavoro, lasciando quei soggetti più critici nelle maglie del pubblico.

In tal senso, il sistema dovrebbe definire quali servizi e prestazioni devono essere erogati e con quali premialità dalle agenzie per il lavoro, agendo così in un’ottica di collaborazione per conseguire il risultato finale: collocare quante più persone nel mercato del lavoro.

Formazione e nuova occupazione

Per decenni si sono finanziati corsi di formazione di dubbia utilità. Per cuochi e pizzaioli italiani ci sarà sempre domanda nel mondo, ma adesso c’è bisogno di nuove figure lavorative per andare incontro al fabbisogno di imprese e nuove professioni. Leggere e decifrare i trend in crescita può essere la chiave per migliorare l’offerta dei lavoratori sul mercato.

Più facile per quei lavoratori giovani e maggiormente istruiti, ma ciò non esclude le persone meno istruite e meno giovani dalla possibilità di up-skilling o re-skillingaggiornamento e acquisizione di nuove competenze. In questo modo sarà più facile rispondere alla domanda di lavoro delle imprese. 

Ecco perché oltre al sostegno al reddito, serve una nuova formazione che segua di pari passo l’evoluzione tecnologica e che anche grazie al PNRR potrebbe dare spazio a milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2026

In questa prospettiva anche le aziende devono fare la loro parte, entrando in cooperazione col sistema di sostegno dei lavoratori, in favore di una crescita generale del Paese.

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