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Le nuove frontiere della povertà

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Si sente parlare, ormai da molto, della necessità impellente di tornare a crescere seguendo e agognando il benessere. Si guarda, freneticamente, al tasso di crescita del nostro Paese, da tempo bloccato a qualche decimo percentuale.

Vi sono, parallelamente, altri dati sui quali, in questa sede, vorrei porre l’accento. Nel biennio 2012-2013, il tasso di incidenza di povertà assoluta  ha mostrato un aumento di circa 2 punti percentuali a livello familiare. Nella nostra amata Italia, 1 milione e 470 mila famiglie residenti vivono in condizioni di povertà assoluta, si tratta di 4 milioni e 102 mila persone pari al 6,8% dell’intera popolazione del Paese (dati Istat, marzo 2016). La situazione più allarmante proviene dal Sud Italia dove è presente quasi il 50% dei poveri assoluti. Risulta essere in aumento anche il numero delle persone senza fissa dimora, oltre 50 mila persone, spesso con un’età inferiore ai 54 anni e con un basso titolo di studi.

Ciò che mi preoccupa maggiormente è la politica di contrasto alla povertà avanzata dall’ Italia. Nel Bel paese, infatti, si spende meno che nel resto dell’Europa per la protezione sociale dei gruppi di popolazione deboli (persone con disabilità, famiglie e infanzia, esclusione sociale, abitazione). I dati del 2013 segnalano che solo una percentuale assai residuale della spesa per la protezione sociale, lo 0,7%, è utilizzata per la povertà e per l’esclusione sociale, questo per sottolineare come il nostro sistema di welfare state debba ancora fare numerosi passi in avanti. Si tratta di un valore che è inferiore di oltre la metà rispetto alla quota riferibile alla media Ue a 28 (pari all’1,9%).
Ed è proprio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a parlare dell’importanza di una “crescita sociale”, come elemento indispensabile per la nostra nazione, una nazione, a mio avviso, che necessita di tornare a discutere di inclusione e possibilità per essere sempre più solidale.

Citando Papa Francesco, il quale afferma – che la cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri, ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affar nostro – sarebbe opportuno che questo “macro-tema” entrasse sempre di più nell’agenda dei nostri governi, meno insensibili e più vicini alle estremità delle varie forme di sofferenza.

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Si definisce un disagiato sociale motivato a cambiare l'indifferenza delle persone che ancora oggi regna sovrana.