London Calling è il modo con il quale si apriva ogni trasmissione radiofonica della BBC durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma è anche il titolo di una delle canzoni più famose dei Clash, band inglese degli anni ‘80, che ispirandosi a questa espressione – in modo abbastanza palese – rievocava un periodo ormai passato, quello della swinging London degli anni ‘60, e denunciava l’atmosfera pesante nella quale stava vivendo e che in un modo o nell’altro lasciava presagire ciò che sarebbe accaduto in un futuro prossimo.
Ed è anche il titolo della mostra di arte contemporanea attualmente organizzata a Palazzo Cipolla, chiaro richiamo ad entrambi, che racchiude in sé lo spirito di “leggerezza” degli anni ’60 – che ha indubbiamente influenzato gli artisti protagonisti della mostra – e lo spirito più gravoso dell’epoca successiva ma anche l’intenzione di affrancarsi dall’uno e dall’altro lasciando semplicemente trapelare il senso di appartenenza a questa città.
La mostra
La mostra si compone delle opere più recenti di tredici degli artisti più rappresentativi del panorama britannico degli ultimi anni, appartenenti a generazioni diverse e con diverso percorso di vita e formazione artistica e culturale, ma con un unico denominatore: un’innata e autentica passione per Londra, una delle città più eclettiche e cosmopolite del mondo, e per gli stimoli che questa città offre.
Stimoli che si traducono nell’utilizzo di materiali diversi ed inaspettati che vanno dal granito alla ceramica, dal gesso al bronzo ma che, sapientemente collocati all’interno di un percorso a serpentina che concede il giusto spazio ad ogni artista, conducono il visitatore ad un viaggio di grande impatto sin dalla prima sala.
Il “racconto” di questo percorso è affidato a citazioni emblematiche degli stessi artisti ad ulteriore riprova di quanto questa città abbia influenzato il loro pensiero e continui ad essere un costante punto di riferimento ed ispirazione.
Le opere
Sono circa una trentina, “attraggono” e spesso suscitano grande curiosità e nascondono sorprese, in particolare quelle della prima sala, “Magenta Apple Mix 2” di Anish Kapoor – due grandi dischi rossi dai quali si ha l’impressione di venire risucchiati e inglobati – e dell’ultima, “Bright Possibility” di Idris Khan nella quale parole dell’autore riportate su timbri impressi uno sopra l’altro diventano illeggibili ma al tempo stesso formano un’esplosione di colore.

Nel mezzo spiccano disegni realizzati con l’iPad e stampati su carta da David Hockney (subito stroncata sul nascere ogni personale velleità artistica…secondo Hockney “per lavorare sull’iPad bisogna saper sia disegnare che dipingere”).
E ancora, lampadari che prendono vita come in “Seria Ludo” di Mat Collishaw, ansie contemporanee rappresentate dallo “studio medico Glen Matlock”di Damien Hirst, evidenti riferimenti alla pandemia in “Black Square Night” di Sean Scully e nei due “Interior (with chair) e (with chaise)” di Michael Craig-Martin, tradizione mista a contemporaneità nel “Sex and Drugs and Earthenware “di Grayson Perry.
E poi “The Disasters of Everyday Life” dei fratelli Jake and Dinos Chapman: Goya rivisitato e reinterpretato in chiave pseudo umoristica, ironica, cinica. L’opera è “costruita” sulle incisioni dell’artista spagnolo “I Disastri della Guerra”, ammirate appena qualche mese fa nella mostra Inferno, sulle quali i due artisti londinesi hanno aggiunto immagini moderne che forse rendono ancora più spietato il loro significato originale ed evidenziano che ciò che accadde duecento anni fa è ancora tremendamente attuale.

La location
Palazzo Cipolla è diventato nel corso degli ultimi decenni un punto di riferimento per mostre ed eventi di arte – sia classica che contemporanea – di enorme successo organizzate dalla Fondazione Roma di cui è presidente il Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele secondo il quale “…la programmazione più che ventennale di Palazzo Cipolla…ha fin dal principio rivolto ad indagare le tendenze e le manifestazioni più significative dell’arte in tutte le sue forme ed epoche”.
Situato in via del Corso, deve il nome al suo costruttore, l’architetto Antonio Cipolla, molto attivo a Roma nella seconda metà dell’800, che ha contribuito anche al restauro degli interni di Palazzo Farnese.
Hop on and mind the gap! Until July 17th.