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Il buco nero delle pensioni e il silenzio dei giovani

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I numeri non parlano da soli e quando vengono interpellati, spesso, non parlano chiaro. Ma su alcuni argomenti, se potessero dirci qualcosa, non lascerebbero spazio ad alcun dubbio. E tra questi vi è il sistema pensionistico italiano, una delle più tremende saghe horror della storia di questo paese. Ma andiamo con ordine, partendo appunto da quello che si può ricavare dai numeri, per non sbagliare.

L’Italia è il paese europeo, ma non solo, che spende di più per il proprio sistema pensionistico in rapporto al proprio Prodotto Interno Lordo, e una delle ragioni di questa spesa fuori misura sta nel fatto che il nostro sistema sconta ancora il peso di un meccanismo, per usare un eufemismo, molto generoso, rimasto in vigore fino al 2011: il cosiddetto sistema retributivo. Questo sistema, con la riforma Fornero del 2011, è stato poi di fatto sostituito in blocco dal sistema contributivo, un meccanismo che, in teoria, dovrebbe consentirci di tenere sotto controllo la spesa previdenziale.

Tuttavia le pensioni italiane, ancora oggi, come ha abilmente dimostrato Davide Mancino con un bell’articolo uscito su Wired.it, rappresentano uno strumento perverso che conta tra le proprie vittime una categoria in particolare: i giovani. E una della cause di questa situazione consiste nella favola dei cosiddetti diritti acquisiti. Le pensioni di cui godono alcuni sono considerate ingiuste, troppo alte o troppo onerose per la finanza pubblica, come ad esempio una fetta non piccola delle pensioni basate sul sistema retributivo? Non si possono toccare, punto, fine della storia. Perché? Perché una volta, appunto, acquisito un certo diritto o, nel caso specifico, un certo regime pensionistico, questi divengono immutabili.  Si tratta di una favola, ma se fosse solo questo non ci sarebbe molto da discutere. La cosa si fa più seria, però, se si prende in considerazione il fatto che questa tesi è stata propinata più volte dalla Corte Costituzionale al grande pubblico e, soprattutto, usata come una mannaia su qualsiasi tentativo di porre rimedio a questo furto, creando così una categoria iper-garantita: i pensionati, appunto.
Viene in mente una famosa frase di Orwell: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri” . Ma andiamo avanti.

Pochi giorni fa, sempre la Corte Costituzionale, con una sentenza molto discutibile, ha dichiarato incostituzionale il bloccoo quantomeno il blocco integrale – della perequazione, un meccanismo che lega l’ammontare delle pensioni all’aumento dei prezzi. Il blocco, previsto sempre dalla riforma Fornero, riguardava tutte le pensioni a partire da quelle pari a tre volte il minimo INPS. Questa norma ci ha aiutato ad evitare il default e ci avrebbe consentito di risparmiare molti soldi. Nonostante questo la Corte ha deciso diversamente, dando così un’altra bella randellata ai conti pubblici e a quell’equità intergenerazionale di cui ormai si son perse le tracce da tempo.

Questo argomento dovrebbe essere un elemento di discussione centrale per una classe politica vagamente responsabile, ma soprattutto per i giovani e per coloro, tra questi, che si dedicano ad attività politiche e collegate. Tuttavia non solo si ha la sensazione che la politica giovanile e studentesca stia ignorando il problema, ma, stando ai pochi segnali che arrivano da questo strano universo, pare proprio che questi non abbiano la più pallida idea di quale sia la posta in gioco: cioè il loro futuro.

Qualcuno infatti ha avuto il coraggio di rispondere, mettiamola così, alla sentenza della Corte. Peccato che fosse la risposta sbagliata. Infatti il portavoce di uno dei gruppi che avevano genialmente boicottato i test INVALSI – quelli dello slogan riciclato “Non siamo numeri e crocette” – alla notizia della sentenza della Consulta ha avuto la fantastica idea di re-twittare un cinguettio del Sindacato Pensionati Italiani della CGIL, esultante per la decisione della Corte. Un chiaro esempio di sindrome di Stoccolma? Oppure semplice caso di carrierismo politico?

Ma quello che più mi piacerebbe sapere è: a parte le giovani leve del sindacalismo italiano, che dell’onestà intellettuale non sanno che farsene, tutti gli altri che fine hanno fatto? In una situazione in cui lo Stato già spende una quantità enorme di soldi pubblici – cioè di chi paga le tasse – e dato che questi soldi non sono infiniti, non appare chiaro, per dirne una, il nesso tra il furto delle pensioni e le scarse risorse disponibili per altre voci, come scuola e università? Il sospetto è che la risposta che si potrebbe ricevere sia “no”. E sarebbe grave, oltre che demoralizzante.

Perché forse non sarete solo numeri e crocette, ma in questo caso dimostrereste di essere sicuramente un po’ cretini.

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Laureato in Scienze di Governo, chitarrista liberale e aspirante politologo rock. O quantomeno blues. Militante di me stesso, per due anni attivista di Fare per Fermare il Declino. Ex membro della Direzione Regionale del Lazio ed ex membro della Direzione Nazionale del partito. Fondatore del sito collettivo Immoderati.it, collaboro con Geopolitica.info e TheFielder.net.